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La chirurgia impiantare raggruppa quell'insieme di tecniche chirurgiche atte a riabilitare funzionalmente un paziente affetto da edentulismo totale o parziale mediante l'utilizzo di impianti dentali ovverosia dispositivi,  inseriti chirurgicamente nell'osso mandibolare o mascellare, atti a loro volta a permettere la connessione di protesi, fisse o mobili, per la restituzione della funzione masticatoria.

Tali impianti possono essere di diverse forme, inseriti in diverse sedi con tecniche differenti e poi connessi alle protesi con diverse tempistiche.

Attualmente gli impianti sono quasi tutti realizzati in titanio. I più utilizzati sono quelli a vite di tipo endosseo, nella maggioranza dei casi lasciati sommersi sotto gengiva per un periodo congruo in base alla sede. 

L'implantologia endossea è al momento la più diffusa, ed utilizza impianti (corpo implantare propriamente detto) di forma cilindrica/conica più o meno filettati all'esterno e con connessione interna a varia conformazione per la parte emergente (moncone) e più raramente cilindri o coni privi di filettatura esterna ma con analoghi sistemi di connessione interna per il moncone, viti piene di un solo corpo (corpo implantare e moncone realizzati dal pieno e quindi senza alcuna connessione) lame ed aghi. In base al protocollo chirurgico avremo quindi implantologia sommersa e non (transmucosa); in base alla tempistica di utilizzo (funzionalizzazione) avremo carico immediato, anticipato, differito.

L'implantologia endossea s

La metodica di "osteointegrazione", sviluppata per primo da Per-Ingvar Brånemark, basata sul carico differito e tesa a rendere più controllabile il successo dell'intervento implantologico: prevede l'utilizzo di impianti endossei a vite ed a connessione protesica, con carico differito, ovvero attesa 3-4 mesi in mandibola e 5-6 in mascella. Il protocollo originale di Branemark è stato variamente modificato così come gli impianti utilizzati, per accorciare i tempi di quiescenza degli impianti ed in definitiva dei tempi generali del trattamento. 

Il materiale più utilizzato per la produzione di impianti è il titanio, in forma commercialmente pura o nelle sue leghe ad uso dentale, materiale biocompatibile che non comporta reazioni da parte dell'organismo (popolarmente ma erroneamente note come rigetto). Gli impianti, posizionati nell'osso del paziente, verranno fortemente inglobati in esso dai fisiologici meccanismi della rigenerazione ossea, ossia avverrà la osteointegrazione sia in caso di carico differito e sia in caso di carico immediato.

L'aumento globale dei problemi di edentulismo totale o parziale collegato all'aumento dell'età media nei paesi più sviluppati e non solo, come certificato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, mentre da un lato denota il fallimento almeno parziale delle metodiche preventive dall'altro porta ad un aumento della richiesta di sostituzione totale della dentatura compromessa. Tutto ciò si unisce, almeno nel mondo occidentale, a richieste di trattamenti pur invasivi ma rapidi e indolori.

Il più famoso trattamento di questo tipo è stato sviluppato dal Prof. Paulo Malo in collaborazione con la Nobel Biocare e prende il nome (registrato) di

All-on-4®. Il trattamento in termini di risultato finale è analogo a uno dei trattamenti più innovativi della storia dell'implantologia osseointegrata, il cosiddetto "Toronto Bridge", che prende il nome dalla conferenza di Toronto del 1982 in cui il concetto del ponte fisso sostenuto da impianti osteointegrati ideato dal Prof. Per-Ingvar Brånemark dell'Universita di Göteborg per risolvere il problema dell'edentulismo mandibolare, osteggiato per anni dai colleghi di Brånemarkstesso, fu introdotto finalmente con enorme successo al mondo accademico nordamericano dal Prof. Zarb dell'Università di Toronto. Ovviamente il trattamento moderno offre tutta una serie di vantaggi in termini di tempi, materiali e applicabilità della tecnica.

Le soluzioni più moderne rispetto al Toronto Bridge originale prevedono un trattamento abbastanza simile tra le due arcate. Gli impianti, se necessario, si inseriscono non paralleli tra loro ma con una inclinazione di circa 30° allo scopo di evitare i forami mentali nell'arcata inferiore e i seni mascellari nell'arcata superiore: l'obiettivo è ottenere una buona stabilità primaria degli impianti (necessaria anche per il carico immediato) anche in assenza di struttura idonea nelle zone posteriori evitando trattamenti più complessi con innesti di osso. Il posizionamento disparallelo/inclinato prevede necessariamente una componentistica del sistema implantare che permetta successivamente la protesizzazione degli impianti disparalleli. Infatti per gli impianti inclinati è prevista un protesizzazione con doppio moncone, un primo inclinato rispetto all'asse lungo dell'impianto (generalmente di 17°, 30° o addirittura 40-45°) ed un secondo in asse con l'emergenza del primo.

L'"implantologo" odontoiatra e/o chirurgo quindi crea una sede nell'osso del paziente (in corrispondenza del nuovo dente da sostituire o da immettere ex novo), attraverso una serie di frese ossee calibrate, per inserire successivamente un impianto dentale endo-osseo. Perché l'impianto si osteointegri è necessaria una buona stabilità primaria, mobilità nulla o dell'ordine di pochi micron (secondo Brunsky e Coll.). L'interfaccia osso-impianto è quindi dell'ordine dei millimicron, altrimenti l'impianto non regge al carico e deve venire rimosso.

Secondo alcuni implantologi (Linkow) può essere accettabile per il successivo carico con una corona anche la fibrointegrazione (fenomeno di inclusione difensiva dell'organismo che ingloba il corpo estraneo in una capsula fibrosa). Tecnicamente l'impianto è fallito e l'intervento chirurgico non ha avuto successo, ma in alcuni casi si possono realizzare permanenze di impianti fibrointegrati per anni e con piena soddisfazione del paziente. Ciò nonostante, la fibrointegrazione rappresenta un insuccesso.

Attualmente, gli impianti più utilizzati sono quelli di scuola svedese, inseribili con protocollo di carico differito, con superfici trattate con varie tecnologie, per favorire il migliore controllo di tutti i parametri ed il più alto grado di predicibilità del successo implantare. In genere il carico masticatorio con protesi fissa avviene in un secondo tempo, dopo 3/4 mesi per la mandibola, dopo 5/6 mesi per il mascellare superiore. In alcuni casi, ma non in tutti, è possibile anche un carico immediato degli impianti, per poter fare ciò occorre però il rispetto di alcuni fondamentali criteri: 

  • la presenza di una certa quantità di osso,

  • la stabilità primaria degli impianti una volta inseriti,

  • un buon supporto parodontale (gengivale),

  • l'assenza di bruxismo (digrignamento dentale) o grave malocclusione,

  • la presenza di un buon bilanciamento occlusale (corretto piano occlusale masticatorio).

Occorre chiaramente anche una seria valutazione dello specialista, che dovrà valutare con opportuni esami e strumenti la coesistenza di tutti questi fattori; altrimenti la scelta cadrà su una tecnica "tradizionale" (di tipo "sommerso" o "non sommerso"), ovvero con impianti che necessitano di un tempo di attesa più lungo, ma più sicuro, per il carico masticatorio.

Gli impianti di scuola italiana a carico immediato, e le relative tecniche chirurgiche, dànno percentuali di successo sovrapponibili a quelle ottenute col carico differito, ma comportano una curva d'apprendimento più lunga e richiedono maggiore esperienza. Mettono però il paziente in grado di avere denti provvisori fissi già alla fine della seduta chirurgica d'inserzione implantare anche in quei casi in cui con impianti di scuola svedese si sarebbe costretti a realizzare il carico differito.

Gli impianti hanno una vita pressoché illimitata (gli studi più lunghi hanno 25 anni), se viene effettuata una quotidiana manutenzione: il rischio più grosso che corrono gli impianti è dato: 

  • nell'immediato post intervento, dalla peri-implantite, ossia un'infiammazione ed infezione delle strutture attorno all'impianto, con conseguente non avvenuta osteointegrazione;

  • da uno scorretto carico degli impianti stessi, con corone o protesi non corrette, che possono creare un riassorbimento osseo nel tempo, con perdita dell'osso sino alle spire più profonde dell'impianto, con possibilità di perdita dello stesso. Per scongiurare questi possibili insuccessi implantari è necessario quindi una buona protesi, fissa o mobile, ben bilanciata dal punto di vista dell'occlusione (corretto equilibrio occlusale), avere una buona igiene orale quotidiana ed effettuare visite di controllo periodiche.

Va anche detto che il fumo, il diabete non compensato ed alcuni farmaci tra cui i comuni antidepressivi appartenenti alla famiglia degli SSRI possono compromettere sia l'osteointegrazione sia la durata degli impianti.

Gli impianti possono sostituire un dente singolo (corona su impianto), un gruppo di denti ravvicinati (ponte su impianti), un'intera arcata dentaria, oppure possono servire a stabilizzare una protesi totale superiore o inferiore (overdenture)

La crescente richiesta di soluzioni protesiche basate su impianti ha fatto sorgere in brevissimo tempo letteralmente centinaia di marche diverse disponibili sul mercato, circa 150 in Inghilterra e addirittura più di 300 in Italia, ma solo una minoranza di queste ha sufficiente documentazione e sperimentazione per essere riconosciuta a livello mondiale.

Oggi il clinico può offrire corone e ponti in ceramica con le caratteristiche di: biocompatibilità, affidabilità, estetica. Le aziende leader in impianti e materiali dentali possono offrire a questo scopo la possibilità di avere: funzione immediata, integrazione tessutale ed un'estetica facilmente raggiungibile. Il mercato mondiale degli impianti viene solitamente suddiviso in premium-price, medium price e low-cost. Al primo appartengono gli impianti supportati da adeguata evidenza scientifica e sperimentazione clinica, al terzo appartengono gli impianti che, non potendo disporre di questi requisiti, puntano gran parte del loro successo commerciale sul basso prezzo, a volte sfruttando brevetti scaduti di aziende maggiori e copiandoli in maniera più o meno pedissequa, creando dei veri e propri cloni ma spesso al di fuori di ogni controllo, con tutta una serie di aziende che si pongono in una posizione intermedia fra questi due poli estremi. Secondo uno studio clinico pubblicato sul Clinical Implant Dentistry and Related Research, solo tre marche di impianti sono state testate da almeno due lavori clinici indipendenti (non sponsorizzati), cosa che dovrebbe spingere i pazienti a richiedere una maggiore trasparenza prima di accettare un qualsiasi preventivo, fino ad arrivare al rilascio di un vero e proprio passaporto implantare che certifichi caratteristiche e termini di garanzia dei materiali utilizzati. Le tre marche di impianti incluse e citate in questo studio clinico erano:

  • Nobel Biocare AG[12] è storicamente l'azienda leader del settore implantare con un fatturato pari a 566,8 milioni di EUR a fine 2013, detiene circa il 20,2% del mercato mondiale.

L'azienda è stata fondata nel 1981 a Göteborg in Svezia con il nome di Nobelpharma. Nel 1996 adottò il nome attuale, trasferendo la sede a Kloten in Svizzera. Deve la sua esistenza alle ricerche e ai prodotti sviluppati dal prof. Per-Ingvar Brånemark negli anni cinquanta a Göteborg, dove Nobel ha tuttora un importante polo scientifico e di ricerca. Negli ultimi anni al core-business degli impianti si sono aggiunti quello delle soluzioni protesiche personalizzate realizzate con tecnologia CAD/CAM, con il marchio NobelProcera e quello delle soluzioni diagnostiche e chirurgiche guidate con l'ausilio dei computer (NobelClinician).

È l'azienda che maggiormente può vantare supporto clinico e scientifico a lungo termine ai propri prodotti. Al 21 settembre 2014 il sito Pubmed alla voce Nobel Biocare cita 423 articoli.

  • Straumann è il secondo maggior produttore mondiale di impianti con un fatturato che nel 2013 ha raggiunto i 680 milioni di franchi svizzeri, circa 560 milioni di euro, pari a circa il 19,7% del mercato globale.

Fondata nel 1954 a Basilea in Svizzera, ha iniziato la produzione di impianti nel 1974 e ha da sempre perseguito la filosofia dell'impianto one-stage con componentistica transmucosa, sebbene abbia recentemente introdotto anche impianti con tecnica sommersa two-stage.

È anche una delle aziende che maggiormente investono nella ricerca: al 21 settembre 2014 il sito Pubmed, che raccoglie tutti gli articoli medico-scientifici pubblicati nel mondo, alla voce Straumann Implant cita 344 articoli.

  • Astra Tech dell'azienda Dentsply Implants, nata il 31 agosto 201 con l'acquisizione di Astra Tech Dental da parte di Dentsply, già leader mondiale nella produzione e vendita di prodotti per odontoiatria.

L'azienda ha attualmente tre poli: 

  • quello di Astra Tech fu fondato nel 1948 nel comune di Mölndal presso Göteborg dove un gruppo di ricercatori sviluppò l'impianto a connessione conica conosciuto oggi come Osseospeed.

  • Dentsply-Friadent possiede due poli produttivi in Germania, uno a Mannheim e l'altro a Hanau, dove vengono prodotti gli impianti Ankylos e Xive.

Non esistono dati ufficiali di mercato riguardanti Dentsply Implants (Dentsply International pubblica i dati corporate, non quelli delle singole aziende del gruppo), ma la stima che si ottiene combinando i singoli dati 2010 delle aziende precedenti porterebbe il nuovo soggetto al terzo posto con una quota di mercato attorno ai 500 milioni di euro, ovvero circa il 17,6% del totale.

Dentsply Implants vanta una solida tradizione nella ricerca e sviluppo, documentata da oltre 350 lavori clinici pubblicati a livello mondiale.

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